Casse di Previdenza: Pubbliche o Private?
Un caso di smarrimento di identità
di Ing. Silvia A. V. Fagioli
Delegato ingegnere per la provincia di Milano e Consigliere d’Amministrazione Inarcassa
03 Ottobre 2023
In un contesto socioculturale in cui si dibatte molto sul concetto di “fluidità” di genere, culturale, artistica e così via, condivido una riflessione: fluidità non può significare smarrimento.
Cosa c’entra questo con il mondo delle Casse di previdenza private e privatizzate?
A distanza di quasi 30 anni dalla privatizzazione delle Casse professionali ancora non si è riusciti ad avere una risposta univoca, chiara e definitiva sulla natura delle Casse se pubbliche o private, purtroppo molto spesso a scapito di una buona ed efficiente gestione e quindi decisamente a sfavore di tutti gli iscritti che versano obbligatoriamente i contributi alla cassa di appartenenza per costruirsi la propria pensione. Una delle conseguenze di questa ambiguità circa la natura delle Casse è quella di creare una sensibile disparità di trattamento tra l’ingegnere, l’architetto, il medico, il commercialista, l’avvocato, il biologo e così via, che pure al pari agli altri cittadini pagano le tasse dovute allo Stato, ma spesso non ricevono le stesse garanzie.
Autorevoli giuristi da Cassese a Capotosti, hanno scritto e si sono spesi in favore della legittima autonomia delle casse di previdenza dei liberi professionisti, argomento che viene di tanto in tanto sollevato, si veda non da ultima la Lectio Magistralis del Prof Cassese organizzata lo scorso anno dall’Adepp- l’associazione che riunisce le casse di liberi professionisti.
Il tema della dicotomia “pubblico/privato” è ritornato recentemente sulle più importanti testate giornalistiche in occasione dell’annunciato “decreto Investimenti” per le casse di previdenza dei professionisti, che dopo anni di attesa dovrebbe essere al Consiglio di Stato per le dovute verifiche.
Da quanto trapelato il decreto dovrebbe garantire la massima autonomia delle casse senza prevedere limiti di soglia, ma la detassazione dei rendimenti finanziari dal 26% al 20% – al pari della previdenza complementare- è ancora in discussione.
Se le Casse di previdenza sono enti privati, i loro patrimoni (complessivamente di oltre 100 mld di euro) appartengono alle singole comunità professionali – medici, ingegneri, architetti, biologi, ecc. – e quindi non statali, anche se legate ad una destinazione di interesse pubblico, in coerenza con quanto previsto dall’art. 38 della Costituzione. E come tali dovrebbero essere gestiti autonomamente nel rispetto dei principi di garanzia per i propri iscritti.
Ma come nasce questa a dir poco, scarsa chiarezza sulla natura giuridica delle Casse?
Partiamo dalla Costituzione.
L’art 38 stabilisce che “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” e prosegue poi indicando che “ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”
L’art 2 dispone inoltre che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti dell’uomo anche nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità”
La Costituzione, quindi, valorizza i cosiddetti “corpi intermedi” e le formazioni sociali e ad essi affida la funzione della protezione sociale; lo Stato, quindi non è l’unico garante della protezione sociale degli individui che può essere demandata anche ad altri. Tra questi “corpi intermedi” rientrano le Casse private dei professionisti.
Rimane la finalità pubblica della protezione sociale, raggiungibile, però, conformemente al dettato costituzionale, anche attraverso formazioni sociali in cui si estrinsecano i diritti dei privati: nel caso in questione quelli dei liberi professionisti.
Gli Enti di Previdenza dei professionisti – tra cui Inarcassa – a seguito della trasformazione da ente pubblico a ente privato sono soggetti alla disciplina del Codice civile– come stabilito espressamente dal decreto legislativo 509, che ne prevede l’autonomia statutaria e di auto-organizzazione.
L’art. 2, comma 1, del D.lgs. 509/94 prevede che gli enti privatizzati hanno “autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto, in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta” e i successivi artt. 3, comma 2, e 1, comma 4, stabiliscono che le Casse, proprio in virtù e nell’esercizio di tale autonomia, possono adottare propri regolamenti e statuti, con l’unico limite del rispetto di determinati criteri che ne delimitano l’operatività.
Da ciò si può dedurre che Le casse privatizzate godono di autonomia sia in relazione agli investimenti e alla gestione ed organizzazione complessiva dell’ente, sia nello stabilire l’ammontare dei contributi richiesti agli iscritti e i criteri per erogare le relative pensioni.
Quanto detto è confermato dall’art. 3, comma 12, della L. 335/95, come successivamente modificato, ove si stabilisce che gli Enti previdenziali privati possono adottare i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni”.
Ma quali sono i principali elementi che, nel corso degli anni, hanno erroneamente attratto gli enti di previdenza privati alla sfera pubblica, per come sono stati interpretati:
- L’inserimento nell’elenco ISTAT
- L’obbligatorietà del versamento contributivo da parte degli iscritti.
Le casse professionali sono state inserite ai sensi della legge n. 196/2009 nell’elenco Istat delle pubbliche amministrazioni rilevante ai fini della stesura del bilancio pubblico consolidato.
In applicazione del regolamento comunitario n. 2223/1996 – avente per oggetto l’istituzione del sistema europeo dei conti 1995 (SEC) – l’ISTAT ha formato l’elenco degli Enti pubblici inserendo nel settore degli Enti di previdenza anche le Casse private dei professionisti (1).
L’inclusione nell’elenco Istat di per sé non comporta l’attrazione delle Casse nella sfera pubblica, trattandosi di una misura con finalità statistiche adottata, in attuazione delle regole di contabilità che a livello europeo sono finalizzate a comprendere il livello di spesa che ogni Stato membro destina alla previdenza, ma non sufficiente a compromettere l’autonomia privata degli enti previdenziali, garantita dall’art. 38 della Costituzione, o a comprometterne l’identità giuridica.
A tale decisione è seguito un contenzioso giurisdizionale che se inizialmente aveva accolto le ragioni promosse dall’ADEPP (l’associazione che raccoglie le casse professionali) e degli Enti di previdenza privata (2), successivamente si è concluso riaffermando la natura pubblica degli enti previdenziali (sentenza Consiglio di Stato n.6014 del 2012).
Tuttavia, nella stessa sentenza il Consiglio di Stato, aveva anche chiarito che la trasformazione avvenuta con il d.lgs. n. 509 del 1994 ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti previdenziali privatizzati, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico (3), affermando contemporaneamente che ciò “non impinge sulla natura della loro personalità giuridica, che il d.lgs. n. 509 attrae inequivocabilmente nella sfera privatistica”.
Un altro passaggio normativo che ha contribuito ad aumentare la confusione sulla natura delle Casse di previdenza è stata l’attrazione delle stesse nella categoria di matrice europea dell’“organismo di diritto pubblico”.
Secondo le conferenti fonti europee, fin dal 2004 per organismo di diritto pubblico “(…) s’intende qualsiasi organismo:
- a) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;
- b) dotato di personalità giuridica, e
- c) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”.
Certamente le casse dei professionisti soddisfano i primi due requisiti svolgendo un’attività istituzionale di interesse pubblico ed avendo personalità giuridica, ma poco hanno a che fare con il terzo requisito della cosiddetta influenza pubblica dominante che implica: il finanziamento maggioritario ad opera dello Stato, oppure la nomina statale di più della metà dei componenti gli organi direttivi, o il controllo gestionale da parte dello Stato. Questi tre requisiti alternativi – del finanziamento, della nomina, e del controllo – implicano una situazione di stretta dipendenza di un organismo nei confronti dello Stato o di altri organismi di diritto pubblico che ne possono influenzare le decisioni e la gestione.
Ma le Casse non possono ricevere finanziamenti pubblici, per espresso divieto normativo inserito proprio nella legge di privatizzazione; i loro consigli di amministrazione sono eletti dagli iscritti e non sono di nomina statale; ed il controllo ministeriale è un controllo “esterno e a posteriori” completamente estrano alla tipologia del controllo di gestione che implicherebbe non solo il potere di verificare i conti annuali, ma, quello di verificare l’esattezza, la l’efficienza, la redditività e la razionalità della gestione.
Per quanto riguarda la Vigilanza ministeriale Casse, i i Ministeri hanno il potere di sciogliere gli organi di gestione e commissariare un Ente solo nel caso in cui sussista una situazione di disavanzo economico-finanziario che possa compromettere la mission dell’Ente (recente caso della cassa giornalisti INPGI).
Nemmeno il controllo demandato alla Corte dei conti rientra nella sfera di influenza pubblica poiché è un controllo successivo sui risultati complessivi della gestione – le casse trasmettono i bilanci approvati dal CND e i sindaci ministeriali possono essere chiamati dalla Corte a fornire informazioni aggiuntive necessarie – e non un controllo continuo sui singoli atti, in grado di influenzare la gestione della cassa.
La situazione ambigua che nell’arco di questi decenni si è venuta a creare in ordine alla natura e dunque alle modalità di gestione delle Casse, non ha fatto altro che determinare grave incertezza sulle prerogative di autonomia gestionale di questa particolare categoria di soggetti, con riflessi negativi sugli interessi degli iscritti che le Casse hanno lo scopo di tutelare: in altre parole si è smarrita la ragione fondante della privatizzazione, che va recuperata prima che sia troppo tardi.
(1) L. 311/2004, art.1 c.5
(2) sentenza n. 1938/08 – TAR del Lazio che aveva escluso la legittimità dell’inclusione nell’elenco ISTAT proprio per la natura privata degli enti previdenziali
(3) Sez. VI, 28 novembre 2012, n. 6014
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23_10_03_Un caso di smarrimento di identità di Silvia Fagioli